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Nella crisi del calcio a rimetterci sono soprattutto le serie minori

In Italia il calcio è la quarta industria del Paese, i settori giovanili non sono ben curati, gli italiani nei campionati sono sempre di meno e la Nazionale fatica a rinnovarsi. E allora...

Nella crisi del calcio a rimetterci sono soprattutto le serie minori
Calcio
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1 Aprile 2022 - 14.22


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di Niccolò Bellaccini 

l calcio era conosciuto come “lo sport del popolo”. Probabilmente ormai quella dimensione non esiste più. Spesso viene da pensare che ormai il calcio non possa essere nemmeno definito  sport, ma  solo un vero e proprio business. Siamo nel 2022 e, complice la pandemia, molti club storici come il Barcellona hanno seriamente rischiato la bancarotta e il conseguente fallimento. Abbiamo visto cos’è successo alle italiche glorie calcistiche. 

In questa crisi di valori e di soldi quel che colpisce di più sono le condizioni in cui versa il calcio delle “serie minori” e delle squadre più piccole, dove la crescita delle spese è diventata insostenibile. Negli ultimi 20 anni sono fallite oltre 170 società di club di calcio: un numero spropositato. Solo le squadre con una proprietà economicamente benestante riescono a sopravvivere a questa carneficina. 

In Italia il calcio è la quarta industria del Paese, i settori giovanili non sono ben curati, gli italiani nei campionati sono sempre di meno e la Nazionale fatica a rinnovarsi; i soldi richiesti per le iscrizioni ai campionati (anche delle leghe minori come Serie C o D) sono sempre di più e quindi dobbiamo necessariamente porci questa domanda: i soldi, che ci sono, dove vanno? 

La risposta potrebbe essere semplice: Tv e piattaforme digitali (Sky, Dazn, ecc.) da usare anche per le serie minori, per il calcio che è ancora profondamente legato al territorio dove ancora operano settori industriali che potrebbero immettere nuove energie , anche finanziarie, in questo campo. Andando a vedere un campionato estero come la Premier League (campionato inglese) notiamo una differenza abissale: i costi sono nettamente maggiori, ma tutte le squadre delle prime leghe più importanti sono benestanti dal punto di vista economico perché continuano ad avere un rapporto diretto con le popolazione del territorio in cui insistono e perché sanno utilizzare al meglio le inevitabili forme di marketing.  

Secondo quanto riportato da Calcio-Finanza nel 2021, lo Sheffield United (squadra inglese arrivata ultima in campionato) ha guadagnato 105,6 milioni di euro dai diritti tv; l’Inter, Campione d’Italia nel 2021, ha guadagnato a “malapena” 100 milioni di euro. L’ultima in Inghilterra guadagna più della prima in Italia. 

Un  esempio di come il calcio sia ormai un business anche per le tv è la partita Turchia-Italia che si è disputata il 29 marzo. La Rai non poteva rinunciare a tentare di sanare una piaga, quella della eliminazione, che costerà cara all’azienda di stato proprio sul piano economico.  Quella sorta di “amichevole” tra battute ha deluso anche i telespettatori con indici di ascolto che sono scesi sotto i tacchi. 

Come ciliegina sulla torta è tornata a circolare la voce di un riproposta della “Superlega”: la competizione che potrebbe garantire a 12 top club europei 350 milioni di euro solo con l’adesione ufficiale alla competizione. Sarebbe  la distruzione definitiva del calcio come sport, o di quel poco che ne è rimasto. Fortunatamente sia l’intero mondo calcistico che quello politico si sono mobilitati per evitare questa distruzione, ma ormai siamo vicini all’ultimo incrocio: o si ripristina il sistema e torniamo al vero calcio fatto di passione e pallone, o lo perderemo per sempre. 

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