di Niccolò Righi
“Alla fine andrà tutto bene, e se non andrà bene non è la fine”. Potrebbe essere riassunto con queste parole dell’immortale John Lennon il percorso di questi ultimi anni dei Denver Nuggets, consacrato questa notte con la conquista dell’Anello. Nel 2020 fermati dai Lakers in Finale di Conference; nel 2021 l’arrivo di Aaron Gordon – fondamentale per il titolo di questa stagione – sembrava aver messo quell’ultimo tassello che mancava, dando ulteriore fisicità all’attacco e coprendo le lacune difensive di Nikola Jokic. Una squadra completa e costruita bene che ebbe un solo un difetto: un’incredibile sfortuna. In poco tempo gli infortuni di Murray e Michael Porter Jr. hanno compromesso non solo la stagione, ma l’intera dinastia costruita dal GM Calvin Booth. Sarebbero tornati quelli di prima? Avrebbero avuto la possibilità di adempiere agli obiettivi che la dirigenza si era prefissata? La sensazione per tanti era quella che il treno fosse passato, che il ginocchio di Murray fosse ormai irrimediabilmente compromesso e che le lacune di Jokic, soprattutto ai Playoff, non sarebbero state mai colmate.
Questa stagione però i ragazzi di Coach Malone hanno saputo far ricredere tutti gli scettici offrendo prestazioni sempre più convincenti con il passare della stagione: primo posto nella Western Conference, seconda squadra con più vittorie in casa e con il loro leader sul parquet, Jokic, capace di finire la stagione quasi in tripla doppia di media (24.5 punti, 9.8 assist e 11.8 rimbalzi) e concludendo i playoff con 6 punti e 2 rimbalzi in più di media. È inoltre il secondo giocatore nella storia, dopo LeBron James nel 2017, a concludere le finals in tripla doppia di media, un traguardo che gli è valso il premio di MVP delle finali. Non male per una scelta numero 41 ad un draft in cui, mentre veniva annunciato, c’era talmente poco hype sul giocatore che si preferì mostrare la pubblicità di un burrito.
Limitare gli elogi a Jokic sarebbe però intellettualmente disonesto, perché questa vittoria passa dalle mani di tutti: da quelle di Jamal Murray, che è riuscito a tornare dall’infortunio al ginocchio con una forza mentale e fisica superiore, come solo i veri Campioni sanno fare in questi casi; da quelle di Michael Porter Jr, maturato definitivamente in questa corsa all’anello; da quelle di Aaron Gordon, additato spesso di essere “solo un giocatore da poster”; da quelle di comprimari fondamentali come Kantavious Caldwell-Pope e Bruce Brown. I Denver Nuggets sono una squadra completa, creata con lungimiranza, senza la fissazione di aggiungere al proprio roster altre superstar, ma costruendo attorno al centro più completo della storia il miglior asset possibile.
E Miami? I loro playoff, soprattutto quelli di Jimmy Butler (ma anche di Adebayo) restano comunque leggendari, ma adesso la palla passa al GM Pat Riley: il risultato, sebbene incredibile, resta comunque assolutamente inaspettato e, probabilmente, irripetibile. Sta a lui costruire a due geni come Butler e Erik Spoelstra una squadra che possa davvero competere per il titolo, se lo meritano loro e se lo merita Miami.