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Basta con l'equazione laziale-fascista: 'Lazio e libertà' lancia la sua battaglia culturale

Giannandrea Pecorelli, produttore cinematografico e televisivo è il presidente dell’associazione nata il 9 gennaio 2020 e che vuole dare voce alla maggioranza dei tifosi che non è né razzista né nostalgica delle dittature

Basta con l'equazione laziale-fascista: 'Lazio e libertà' lancia la sua battaglia culturale
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9 Settembre 2020 - 19.40


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di Marco Buttafuoco

“Saluti romani camerata Reina”. Con questo striscione, piazzato su un cavalcavia di Roma, gli ultra laziali hanno salutato l’arrivo del nuovo portiere, lo spagnolo Pepe Reina, noto simpatizzante del movimento sovranista (se non neo franchista) Vox. Ancora una volta quindi la parte più radicale della curva laziale identifica la passione sportiva con la militanza ideologica.

Di questa contaminazione perversa si parla da decenni, almeno dagli anni ’70. L’episodio più clamoroso avvenne forse nel gennaio del 2000, quando, proprio allo stadio Olimpico fu esposto uno striscione inneggiante a Zeljko Raznatovich, alias Comandante Arkan, il rapinatore serbo, capo di una milizia responsabile di tanti massacri nelle guerre dell’ex Jugoslavia, reclutata, almeno all’inizio, fra i tifosi più oltranzisti della Stella Rossa di Belgrado. Si sono poi verificati altri episodi ( il più vergognoso quello dello sfregio alla memoria di Anna Frank, nell’ottobre del 2017 ). Quindi già prima di quest’ultima bravata, una parte della tifoseria si è posta il problema di questo tentativo d’identificazione fra neofascismo e “fede” laziale. 
Da questa esigenza nasce Lazio e Libertà, una nuova, insolita, associazione fra tifosi laziali di sentimenti antifascisti, stanchi di vedere la curva come luogo di militarizzazione squadrista, come culla di slogan razzisti, di esibizione di simboli inquietanti.  Lazio e libertà (il riferimento al celebre film di Ken Loach non è casuale, anche se, come vedremo, non del tutto esaustivo) è stata fondata a Roma il 9 gennaio di quest’anno. Avrebbe dovuto debuttare ai primi di marzo, ma le vicende della pandemia hanno rinviato, sine die, la presentazione.
“ Abbiamo vari obiettivi”, dice Giannandrea Pecorelli, produttore cinematografico e televisivo e primo presidente dell’associazione. “Il primo è quello, ovviamente di ristabilire una verità elementare, quella che la tifoseria della Lazio non s’identifica con le frange estreme. La Lazio è una società storica, del quale vogliamo quest’anno festeggiare il centoventesimo anniversario.  Nascemmo proprio nel 1900, in un edificio situato nel Quartiere Prati, a Piazza della Libertà. Il nostro nome si riferisce anche a questo, non solo al film di Loach.  La Polisportiva Lazio precede di ventisette anni la Roma, nata proprio per dare alla capitale una seconda squadra. Secondo gli storici fu proprio il regime a favorirne la costituzione. Certo, nel sentire cittadino i giallorossi rappresentano i quartieri più popolari, le borgate mentre la Lazio viene colta come squadra della borghesia e dei quartieri storici. Ma sono dati storici non molto significativi. Non c’è nessun motivo reale di considerare la Lazio una squadra legata al fascismo. Forse a questo equivoco ha contribuito il fatto che alcuni componenti della squadra dello scudetto, si dichiarassero di fede fascista, ma anche questo è un indizio labile. Gruppi di ultras di estrema destra si trovano in quasi tutte le curve italiane. Nelle prime manifestazioni contro le misure anti Covid abbiamo visto anche tifosi romanisti, o veronesi, legati al neofascismo più radicale. Gli ultras delle due squadre della Capitale hanno fatto interrompere il derby del marzo 2004 e hanno scatenato scontri con la polizia. Quando c’è da creare il disordine lavorano sulla stessa lunghezza d’onda, anche se da barricate diverse. E’ un mondo, quello degli ultra, molto complesso, che comincia negli anni ’80, in concomitanza con l’allentarsi dell’impegno politico. La curva risponde al bisogno di aggregazione giovanile che prima offriva la militanza. Oggi pare evidente che non sia solo l’estrema destra a reclutare adepti in quegli ambienti. Anche la malavita è presente nelle curve più estreme, come dimostra la vicenda dell’ultra laziale ucciso lo scorso anno in un regolamento di conti.  Noi pensiamo, forse sarà anche un pensiero retorico ma non importa, che lo stadio debba tornare a essere un luogo per tutti. Certo, sulle gradinate ci si arrabbia, si discute, si soffre, l’adrenalina è al massimo,  ma questo deve bastare; usando una frase quasi fatta, lo stadio deve essere un luogo dove portare i bambini e la famiglia. Non può essere un teatro di guerriglie organizzate, un palcoscenico per l’esibizione di orrendi riti e simboli di sopraffazione e di odio verso gli altri. 

A quali iniziative pensate per questa vostra sfida?
Crediamo al calcio come luogo di cultura e di narrazione di grandi e piccole storie, talora semplici aneddoti  che compongono un grande libro. Oggi abbiamo una grande quantità di volumi sul calcio. La memorialistica dei calciatori è oramai vastissima e sempre divertente. Non ci sono più i libri di denuncia dell’ambiente come quelli che scriveva il povero  Carlo Petrini, ma c’è una messe infinita di episodi e ambienti , di memorie preziose,  che i vecchi atleti hanno raccontato al pubblico. Poi ci sono i libri scritti da giornalisti e – o narratori, su un singolo atleta o su un a singola squadra.  Tanto per essere di parte citerò quello del nostro compagno di fede Giancarlo Governi, dedicato a Bruno Giordano; poi Nick Hornby, Osvaldo Soriano. Tutta questa fioritura ha immerso il nostro sport nel flusso della vita reale . Il calcio non è solo quello che raccontano quotidianamente televisioni , social e stampa, un mix di dati tecnici e pettegolezzi banali. Al contrario è storia, fantasia, poesia. Questa dimensione non andrà quindi condivisa con i soli tifosi della Lazio. Pensiamo d’incontrare anche i nostri confratelli che tifano per altre squadre, perché  Il tifo non è questione di sette. Il calcio unisce classi, generazioni, nazionalità, fedi religiose e politiche.

 

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