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La Serie A è davvero in crisi o sono i tifosi ad estremizzare la situazione?

In campo internazionale le italiane volano, siamo campioni in carica di Conference League e abbiamo vinto gli ultimi Europei. Alla luce di ciò ci siamo chiesti: la Serie A è davvero così tanto in crisi o sono i tifosi che estremizzano la situazione?

La Serie A è davvero in crisi o sono i tifosi ad estremizzare la situazione?
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8 Marzo 2023 - 15.27


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di Alessandro Manca e Niccolò Righi

“Facile in Serie A…”, “Eh ma nella Serie A degli anni ’90…”, “La Serie A oggi è anche peggio della Ligue 1”. Quante volte nell’ultimo periodo abbiamo letto, sentito e magari perché no, anche detto noi stesso commenti di questo tipo, o ben più lapidari?
Eppure questo primo turno europeo ci ha consegnato una panoramica che cozza in maniera netta con le critiche che il nostro campionato è costretto a subire ogni giorno, e non solo da parte di tifosi da tastiera, ma anche da giornalisti (ben più qualificati di noi), opinionisti ed esperti. L’ultima giornata europea ha visto 4 italiane su 4 qualificate agli ottavi di Europa e Conference League e per quanto riguarda la Champions 3 risultati favorevoli. È vero, in quest’ultimo caso c’è ancora il ritorno e, soprattutto per le due milanesi, la qualificazione è tutt’altro che scontata. Però il Milan ha messo alle strette il Tottenham, l’Inter ha battuto il temibile Porto e in precedenza aveva eliminato ai gironi il Barcellona, e per entrambe le squadre le sensazioni sono più che positive. Non parliamo poi del Napoli, squadra che – lo abbiamo detto, e lo ripetiamo – per noi ha tutte le carte in regola per giocarsi almeno la semifinale della competizione.

C’è un altro aspetto poi che spesso dimentichiamo, intenti a massacrare allenatore, giocatori e staff della nazionale per la mancata qualificazione al Mondiale: l’Italia è Campione d’Europa in carica.
Perché allora si parla di un sistema italiano ormai alla frutta? Siamo davvero diventati, a livello calcistico, lo zimbello d’Europa? Oppure siamo noi tifosi, giornalisti, allenatori da bar e presunti esperti che dilapidiamo un movimento senza averne una panoramica oggettiva?
È difficile, per non dire impossibile, dare una risposta alle questioni sollevate, non crediamo di avere la competenza necessaria per individuare il problema nel calcio italiano e risolverlo. Tuttavia possiamo formulare un’analisi partendo da dati evidenti e provando a dare un’interpretazione più oggettiva possibile.

Innanzitutto, riteniamo fondamentale distinguere questioni sportive e questioni tecnico-burocratiche, è vero che poi certamente le due sfere si influenzano a vicenda, però è altrettanto vero che nel caso italiano (ma più in generale, europeo) sembrano apparire in maniera totalmente opposta.
Riguardo tutto ciò che concerne la seconda sfera citata, quella burocratica, amministrativa, economica, insomma quella legata a fattori “extra campo”, l’Italia è oggettivamente indietro rispetto a gran parte dei maggiori campionati europei. A sostegno di questa tesi proviamo a tirare in ballo qualche numero, che non sono sinonimo di scienza esatta ma fanno capire un po’ meglio la situazione del nostro campionata.

Partiamo dalla questione stadi. Delle 20 squadre che militano in Serie A, soltanto 4 di esse (Atalanta, Juventus, Sassuolo e Udinese) hanno uno stadio di proprietà, si tratta del 20%. Solo la Ligue 1 fa peggio, dove il Groupama Stadium del Lione è l’unico ad essere di proprietà del club. Nel resto dei maggiori campionati d’Europa il dato è completamente in controtendenza: 17 su 20 in Premier League, 16 su 18 in Bundesliga e 11 su 20 nella Liga. A ciò si aggiunge un altro dato significativo: dal 2000 ad oggi l’Italia ha avuto soltanto 3 stadi nuovi (con 10 stadi che sono stati ristrutturati), è il dato più basso assieme ai 4 stadi moderni della Ligue 1 e ai 3 della Liga (che però hanno avuto rispettivamente 12 e 15 ristrutturazioni). Ciò ovviamente si ripercuote, non poco, sulla possibilità di fruizione della partita da parte degli spettatori, che per questo motivo in Italia riempiano, in media, il 60% degli stadi. Il dato più basso di tutti i top campionati (Premier 96%, Bundesliga 90%, Ligue 1 72%, La Liga 70%). Va da sé che questo genera meno introiti per le società e meno appeal per le tv.

A tal proposito parliamo della seconda questione, quella sicuramente più spinosa: i diritti tv. La Legge Melandri in Italia stabilisce che tutto l’ammontare dei soldi dei diritti tv (pari, la scorsa stagione, a 940 milioni di euro) sia ripartito tenendo conto dei seguenti parametri:

  • Il 50% viene spartito in maniera identica tra le 20 squadre di serie A (470 milioni, circa 23,5 a testa);
  • Il 15% (140 milioni) tiene conto della classifica di Serie A dell’anno precedente;
  • Il 10% (94 milioni) tiene invece conto della classifica degli ultimi 5 campionati di Serie A;
  • Il 5% (47 milioni) tiene conto dei risultati sportivi ottenuti a livello nazionale e internazionale dal campionato 1946/47 alla sesta edizione antecedente a quella giocata. Per dirla in parole povere questa ripartizione tiene conto della storia di un club e quest’anno assegnerà soldi in base all’andamento avuto dalla stagione 1946/1947 a quella 2016/2017;
  • Il 12% (113 milioni) sulla base degli spettatori paganti che ogni club ha avuto nelle gare casalinghe degli ultimi tre campionati.

Tenendo conto dei parametri appena citati, il report di Calcio e Finanza ha riportato i seguenti dati per quanto riguarda gli introiti avuti dai vari club nella passata stagione:
Inter 72,5 milioni
Milan 70,6 milioni
Juventus 66,6 milioni
Napoli 59,1 milioni
Roma 57,5 milioni
Lazio 52,9 milioni
Atalanta 45,6 milioni
Fiorentina 44,7 milioni
Bologna 38,5 milioni
Torino 38,2 milioni
Sampdoria 36,9 milioni
Sassuolo 36 milioni
Verona 35,3 milioni
Udinese 34,6 milioni
Genoa 33,5 milioni
Cagliari 31,8 milioni
Empoli 29,8 milioni
Spezia 28,5 milioni
Venezia 26,9 milioni
Salernitana 26,9 milioni.

Per capire al meglio la differenza basti pensare che in Premier League il Norwich, che l’anno scorso si è classificata all’ultimo posto, ha incassato dai diritti tv circa 30 milioni in più dell’Inter. Il Manchester City, prima in questa “speciale” classifica, ne ha incassati ben 187,2 e il Liverpool 185. Questa divario economico, ovviamente, si ripercuote soprattutto sui bilanci delle società italiane, che nella scorsa stagione sono crollati a picco. Delle “big” soltanto Fiorentina e Atalanta hanno un bilancio in attivo (seppur di pochi milioni di euro); per quanto riguarda tutte le altre i conti sono decisamente in rosso, specialmente quelli di Juventus (-238,1 mln.) e Roma (-219,4 mln.).

Non vogliamo però che questi dati passino come un tentativo di assolvere le società da quello che evidentemente è stato forse il problema maggiore degli ultimi anni: la gestione dei club.
Secondo i dati del CIES lo scorso anno in Serie A il 64% dei minuti totali di campionato è stato giocato da calciatori stranieri. Il dato più alto di tutti i top campionati europei. Non solo: nella top 100 dei calciatori di Serie A ad aver giocato più minuti sui 2070 a disposizione finora, sono soltanto 3 gli italiani nati dopo il 2000 ad essere presenti in questa classifica: Parisi (Empoli) con 1693 minuti, Udogie (Udinese) con 1648 minuti e Tonali (Milan) con 1660. Meglio solo della Bundesliga (2) ma dietro a Premier League (5), Liga (6) e, soprattutto, Ligue 1 che ha ben 13 giocatori nati dopo il 2000 presenti in questa classifica. Non è un caso probabilmente che il campionato che schiera più giovani sia anche quello che ha la nazionale più attrezzata, nonché Campione del Mondo 2018 e Vice-Campione 2022.

Concludendo quindi sì, il nostro è un sistema che può sembrare in crisi, e probabilmente lo è. Crisi economica, crisi livello di strutture ma soprattutto crisi di identità. Ma allora sorge spontanea una domanda, è la sola Serie A che vive questo momento buio o, più in generale, il panorama calcistico mondiale?
Stiamo vivendo un momento calcistico in cui il denaro lo fa da padrone ma non siamo arrivati al punto in cui i soldi battono i progetti tecnici. In questa prospettiva l’Italia ha ancora diverso margine sulle rivali perché nel nostro paese si mastica calcio da sempre, abbiamo tra i migliori dirigenti e allenatori in circolazione e una conoscenza del gioco invidiata in tutto il mondo.

Ora però sta a noi scegliere in che campo giocare questa “partita”: se scegliamo di affrontare il resto del mondo sul piano economico sarà un Caporetto assicurato, e lo ha già dimostrato la Juventus. I bianconeri probabilmente hanno fatto l’errore, dopo le due finali di Champions perse nel 2015 e nel 2017, che il gradino che c’era tra loro e la coppa poteva essere colmato sul piano economico: si è iniziato a dare stipendi faraonici a giocatori come Douglas Costa, Pjanic, Rabiot, Ramsey. Senza parlare poi di Cristiano Ronaldo. È stato l’inizio della fine per la squadra di Agnelli.
D’altra parte come si può reggere il confronto economico con club, i quali nell’ultimo anno hanno speso oltre 600 milioni di euro per:
– Enzo Fernandez (2001): 57 presenze e 4 gol, pagato 121 milioni;
– Mykhaylo Mudryk (2001): 29 presenze e 9 gol, pagato 100 milioni;
– Wesley Fofana (2000): 7 presenze stagionali col Chelsea, pagato 80 milioni;
– Marc Cucurella (1998): terzino di spinta che non aveva mai giocato in Champions League e che nella parentesi di Premier al Brighton aveva fatto un solo assist, pagato 60 milioni;
– Carney Chukwuemeka (2003): 197 minuti giocati in totale finora, pagato 20 milioni;
– Benoit Badiashile (2001), Noni Madueke (2002), David Datro Fofana (2002), Andrey Santos (2004), Pierre-Emerick Aubameyang: sono stati tutti e cinque esclusi dalla lista Champions, i primi quattro sono arrivati nel mercato invernale, Aubameyang la scorsa estate. Insieme sono costati circa 110 milioni;
– Joao Felix – 11 milioni solo per il prestito di 6 mesi;
– Come non citare infine la spesa di 23 milioni per Graham Potter. L’allenatore.
Oltre mezzo miliardo per una serie di giocatori che (forse) si faranno, ma che sono stati pagati tenendo conto del loro valore in potenza, ma non in sostanza.

Se invece scegliamo una seconda via, quella adottata da Atalanta, da Napoli, ultimamente anche dalle due milanesi, che presuppone uno scontro sul campo dei progetti, delle idee, delle intuizioni, allora lì la partita è ancora tutta da giocare.

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