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From Akron to LA: LeBron James è Leggenda

Il racconto del giocatore che ha cambiato la storia del basket.

From Akron to LA: LeBron James è Leggenda
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8 Febbraio 2023 - 10.56


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di Niccolò Righi

Il destino si sa, certe volte è proprio strano e per raccontare al meglio questa storia è necessario fare un balzo indietro a quasi 39 anni fa, più precisamente al 5 aprile 1984 giorno in cui ad affrontarsi furono i Los Angeles Lakers e gli Utah Jazz, con i primi che ebbero la meglio per 129-115. Non ci sarebbe nulla di strano fin qui, se non che in quell’occasione Kareem Abdul Jabbar segnò il suo punto 31.422 diventando il miglior marcatore della storia della NBA, superando il primato che fino a quel momento apparteneva a Wilt Chamberlain. Curioso se pensiamo che pochi mesi dopo, il 30 dicembre, ad Akron, in Ohio, una giovane donna single appena sedicenne di nome Gloria James metteva alla luce proprio colui che, 39 anni dopo, avrebbe superato il record di Jabbar, che nel frattempo aumentò fino a raggiungere i 38.387 punti. Quel bambino prese il nome di LeBron Raymone James e questa è la storia di come è diventato un’assoluta Leggenda.

“With the first pick in the 2003 NBA Draft, the Cleveland Cavaliers select…LeBron James!” Chissà cosa sarà passato in quel momento nella testa di un ancora adolescente LeBron James. Felicità, orgoglio, ansia di dovere rispettare le altissime aspettative che si erano create attorno a lui fin dai tempi della scuola? Probabilmente un mix di tutte queste sensazioni. Sicuramente uno dei pensieri iniziali sarà stato quello di avercela davvero fatta.

Sì perché l’infanzia di LeBron, passata in uno dei quartieri più malfamati di Akron, è stata tutt’altro che rose e fiori. Come detto la madre Gloria era single perché il padre, scoperta la gravidanza della donna, non ha mai voluto riconoscere il figlio e sparì prima ancora che il piccolo venisse al mondo. Le cose per la famiglia James non sarebbero migliorate, anzi. Nel 1987 la madre di Gloria, Freda, venne a mancare prematuramente per un infarto improvviso, e la giovane donna rimase sola con i fratelli di diciannove e dodici anni e il figlio di tre, faticando ad arrivare a fine mese. Lo stesso James ricorderà in seguito la pesantezza di quegli anni. “Spesso alla sera non sapevamo se saremmo riusciti a mangiare e soprattutto dove avremmo dormito il giorno successivo”. L’infanzia di LeBron proseguì con non pochi problemi, la madre Gloria complice la giovane età risulta poco presente e il ragazzino inizia sempre più spesso a marinare la scuola e a stare per strada, che nel ghetto di Akron vuol dire avvicinarsi a criminalità e droga.“Passavo le notti da solo, spaventato. Sentivo le sirene della polizia e gli spari. Cose che i tuoi figli non vuoi che ascoltino crescendo”, dirà James in futuro. Le cose iniziarono a cambiare con la conoscenza di un altro ragazzino, suo amico, di nome Frank Walker Jr. All’ennesima assenza a scuola di LeBron, l’amico avverte suo padre, Frank Walker Sr., allenatore di pallacanestro che capì le difficoltà del bambino e decise di portarlo a casa propria, crescendolo, e dando la possibilità alla madre Gloria di trovare un lavoro stabile.

LeBron inizia quindi ad avere una vita più tranquilla, capisce l’importanza della scuola, inizia a coltivare i propri sogni e si avvicina al basket, mostrando delle abilità sorprendenti in rapporto alla sua giovane età. Sceglie fin da subito il numero 23, in onore dell’idolo Jordan e appaiono fin da subito evidenti le sue grandi doti atletiche, una lettura del gioco da veterano e, soprattutto, un animo estremamente competitivo. Nel 1999 entra alla St. Mary High School e assieme ai suoi compagni, i Fab five, guida la squadra al titolo statale dell’Ohio con un incredibile record di 27 vittorie e 0 sconfitte.

Passa il tempo e LeBron continua sempre più a stupire: sale da 21 punti di media a 25 e vince il titolo statale per il secondo anno di fila. Ormai è chiaro per tutti: LeBron James è fatto per giocare a basket e sarà destinato ad avere un futuro in NBA. I riflettori del Nord America iniziano a puntare su di lui, un giornale locale lo battezza con quel nome che in futuro lo renderà un’icona: King James. Ad un camp estivo che si tenne nel 2000 a Chicago a vederlo c’era addirittura Michael Jordan che in quell’occasione dirà: “È talentuoso. Ha tanto da imparare ma il potenziale c’è e questo deve motivarlo. Se prosegue così arriverà ad un livello più alto”.

Tuttavia, al terzo anno, la fama porta con sé un grosso carico di aspettative e di pressioni mediatiche: tutti ormai conoscono LeBron, tutti ormai vogliono vedere il fenomeno dell’Ohio. Pur essendo ancora al liceo le sue partite vengono viste, in media, dal 16.000 spettatori, tanto che la scuola fu costretta ad affittare un palazzetto più capiente. ESPN trasmette alcune sue partite in diretta nazionale e il 18 febbraio 2002 la rivista Sport Illustrated gli dedica una copertina con una dicitura chiara, che lo accompagnerà per tutta la sua carriera come una spada di Damocle sulla sua testa: The Chosen One, ossia “Il Prescelto”. Non ha ancora compiuto 18 anni, eppure è già uno degli atleti più chiacchierati d’America. La pressione però sì sa, può giocare brutti scherzi e quell’anno la squadra perde clamorosamente la finale del campionato.

La sconfitta però sembra non intaccare particolarmente lo status di LeBron, ormai oggetto di desiderio di qualunque squadra NBA. Il giovane prova già a rendersi eleggibile al draft del 2002 ma le regole sono chiare: non è possibile farlo senza aver completato l’High School. Durante la quarta stagione però arrivano le prime grane: un’inchiesta svela che James sfrutterebbe la sua posizione per avere agevolazioni in città e questo gli costò una pesante squalifica dalla squadra. Tornato in campo a marzo James sfogò tutta la sua rabbia e frustrazione nel campo di gioco segnando subito 52 punti e trascinando la propria squadra al terzo titolo con medie spaventose da circa 31 punti e 10 rimbalzi e 5 assist.

Torniamo quindi ad inizio racconto e a quella notte che cambiò per sempre la sua vita e la storia della moderna NBA. L’impatto nella Lega è devastante: Cleveland passò da un disastroso record di 17 vittorie e 65 sconfitte ad un migliore 35-47. James inizia ad accumulare già i primi record: massimo di punti all’esordio per un giocatore passato direttamente dalla High School alla NBA (25 contro Sacramento); termina l’anno con una media di 20.9 punti – 5,5 rimbalzi – 5,9 assist, l’ultima matricola ad avere medie a fine anno di almeno 20/5/5 fu, manco a dirlo, Michael Jordan; diventa il più giovane giocatore di sempre con una partita da 40+ punti (ne mise 41 contro i New Jersey Nets) e, ovviamente, vinse il premio di Rookie dell’anno. I playoffs quell’anno non arrivarono ma poco importava: tutti erano sicuri che James avrebbe avuto tempo per vincere l’anello.

Le stagioni poi iniziano a passare e i record aumentano: giocatore più giovane a segnare una tripla doppia; più giovane di sempre ad avere una media di 30+ punti; più giovane di sempre a vincere il premio MVP all’All Star Game; titolo di miglior realizzatore dell’NBA; primo giocatore nella storia dei Cavs a vincere il premio MVP della regular season; e tanti altri. Ai playoff però le delusioni iniziano ad accumularsi: al secondo anno non si qualifica, al terzo anno perde al secondo turno, al terzo anno perde le Finals contro San Antonio, traguardo che James non riuscirà a raggiungere gli anni successivi, uscendo in successione con Celtics, Magic e nuovamente Celtics. Anche l’avventura olimpica del 2004 e i mondiali del 2006 non sono fortunati e gli USA riescono a vincere in entrambe le occasioni solo la medaglia di bronzo: un fallimento per la patria della pallacanestro.

Arriva quindi il 2010, il ciclo a Cleveland è finito e la franchigia non riesce a mettere attorno a James dei compagni di reparto alla sua altezza, per questo motivo “il Prescelto” capì che era arrivato il momento di cambiare aria. La decisione per la sua prossima squadra raggiunse una rilevanza mediatica tale che ESPN gli dedicò addirittura uno speciale di un’ora in tempo reale, che prese il nome di The Decision. In realtà un po’ tutti sapevano ciò che avrebbe scelto, e infatti alla fine le aspettative furono rispettate: nel dissenso generale LeBron James passò ai Miami Heat degli amici Wade e Bosh. A tale decisione seguirono tantissime critiche e anche Jordan, che fin da quel momento aveva sempre avuto parole al miele per il suo erede, non riuscì a capire la scelta, affermando che lui non si sarebbe mai accordato con Bird e Magic Johnson per giocarci assieme, allo stesso modo James avrebbe dovuto provare a battere Wade e Bosh non accordarsi per giocare nella stessa squadra.

La stagione 2010-11 a Miami va bene e senza troppe sorprese la squadra arriva alle Finals contro i Dallas Mavericks. Eppure, sebbene favoriti da tutti i pronostici, ad avere la meglio fu la squadra texana per 4-2, con LeBron che tenne una media punti appena superiore ai 17 punti. Stampa e detrattori non si risparimiarono, fu attaccato su tutti i fronti. Ormai era chiaro: James era un perdente, accumulava tante statistiche che non riusciva a concretizzare con un titolo. In poche parole: LeBron James non era Michael Jordan.

Nelle due stagioni successive arrivarono finalmente i tanto agognati anelli, i primi due della sua carriera. Il prescelto ce l’aveva fatta sì ma nell’opinione pubblica questo non bastava, tutti sapevano che quella vittoria non era frutto del suo lavoro ma della sua decisione. Per questo, dopo la sconfitta alle Finals contro San Antonio al quarto anno con Miami, LeBron decise di fare un qualcosa di sorprendente. Sapeva di avere un conto in sospeso da dover colmare, sapeva che c’era un popolo a cui dover chiedere scusa, sapeva che per essere paragonato ai migliori di sempre deve vincere in quella squadra. È per questo che nel 2014 decide di tornare a Cleveland. La squadra possiede i già ottimi Love e Irving che, assieme a James, formano un trio niente male, anche se quelli da battere sono i Golden State Warriors di Steph Curry, Klay Thompson e Draymond Green. I due team arrivano in finale, tuttavia l’infortunio di Irving lascia Cleveland senza il proprio secondo violino e nonostante una media mostruosa di James (35.8 punti, 13.3 rimbalzi e 8.8 assist) la squadra viene sconfitta per 4-2.

È qui che questo racconto esce dal territorio della storia ed entra in quello del mito. Sì perché non c’è altro modo per descrivere la stagione 2015-16 se non come “mitica”. Anche quell’anno Cleveland raggiunge le finali e ad aspettarli ci sono nuovamente i Warriors che in stagione regolare avevano ottenuto il leggendario record di 73 vittorie su 82 partite. Nessun bookmaker dava una minima chance ai Cavs. Gara 1 e 2 vanno, come da pronostico, alla squadra di San Francisco. In Gara 3 i Cavs riducono lo svantaggio ma alla 4 la vittoria torna ai ragazzi di Coach Kerr. Il risultato è di 3-1 e l’ennesima sconfitta è ad un passo. In Gara 5 la squadra dell’Ohio di porta sul 3-2 grazie ai 41 punti a testa di James e Irving. 41 punti che James ripeterà anche in Gara 6 con esito uguale alla precedente. I Cavs sono vivi e riportano la serie in parità. Gara 7 è un’altalena di emozioni, ogni canestro pesa come un macigno. Poi, a 1 minuto e 50 dalla fine, con il punteggio di 89-89 succede un qualcosa difficilmente da spiegare e che racchiude tutte le emozioni che lo sport sa regalare. Iguodala è lanciato in contropiede, ma prima che possa adagiare il pallone nel canestro arriva James da dietro come un leone che azzanna la propria preda, compiendo una delle stoppate più belle e iconiche che si siano mai viste. In quella stoppata c’è tutto: c’è la sua infanzia, ci sono le pressioni mediatiche avute fin da ragazzo, c’è il peso di non aver mai vinto un anello senza andare nella squadra più forte. Flavio Tranquillo non poteva descrivere meglio la giocata: “Arriva, incredibile. Si oscura la vallata! Cos’ha fatto LeBron James, potrebbe aver messo la firma sul capolavoro. È la Gioconda, non è una stoppata”. Alla fine il tabellone reciterà 93-89. I Cavs sono per la prima volta nella loro storia Campioni NBA. Nessuna squadra aveva mai rimontato uno svantaggio di 3-1. Adesso sì che James poté festeggiare, questo anello era tutto suo, era il frutto del suo lavoro. Nessuno poteva dire di averlo ottenuto con i più forti perché James era tornato a casa con una missione da compiere e lo sottolineò lui stesso dopo la partita, urlando in lacrime:”Cleveland! This is for you!”.

Le due stagioni successive vedono entrambe la sconfitta in finale, sempre contro i Warriors che nel frattempo, con l’aggiunta di Kevin Durant, erano diventati pressoché imbattibili. Per questo motivo, nel 2018, James decise di andarsene nuovamente ma questa volta acclamato come un eroe e non più da traditore. La squadra scelta furono i Los Angeles Lakers e dopo una prima stagione deludente, senza neanche playoff, riuscì a vincere il suo quarto titolo anche nella Città degli Angeli, battendo i Miami Heat alle Finals 2020.

È il momento però di fare un passo avanti di qualche anno, al 7 febbraio 2023, ieri sera. … sul cronometro, palla a James, perno sulla gamba destra, fadeaway… Canestro. Punto numero 38.388, miglior marcatore nella storia del NBA superando il record di Kareem Abdul-Jabar. Ne siamo tutti testimoni. Dopo 20 anni da quella notte del Draft che ha cambiato per sempre la storia del NBA si può dire che le aspettative sul “Chosen One” siano state rispettate a pieno e quel ragazzino, cresciuto nel ghetto di Akron, sia ormai Leggenda.

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