Arianna Fontana si confessa e fa nomi e cognomi: ecco il motivo dei dissidi con la Federazione

La campionessa azzurra del pattinaggio di velocità ha parlato con il Corriere della Sera, raccontando i dettagli e facendo nomi e cognomi dei colleghi che l'hanno portata al duro sfogo contro la Federazione.

Arianna Fontana si confessa e fa nomi e cognomi: ecco il motivo dei dissidi con la Federazione
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1 Marzo 2022 - 11.01


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Arianna Fontana si confessa. Sulle colonne del Corriere della Sera, l’atleta olimpica più medagliata di tutta la storia dello sport italiano ha parlato del suo tormentato rapporto con la Federazione, del suo rapporto col marito allenatore Anthony Lobello e sul futuro alle Olimpiadi di Milano-Cortina 2026.

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Hanno detto che non sono una leader, che ho spaccato la Nazionale. Non sono mai stata una da grandi discorsi: faccio parlare i risultati. Essere sul ghiaccio da 16 anni è un modo di essere leader. Se non mi interessasse la squadra, oggi starei zitta. È dal 2010 che vivo male certe situazioni con gli allenatori. Mi stavano trasformando in una fondista: avevo quasi perso le mie doti di sprinter. In avvicinamento a Vancouver, ho imparato a gestirmi da sola. Dopo il Canada i tecnici sono Eric Bedard e Kenan Gouadec, coppia formidabile. Ma dura poco. Da Sochi 2014 in poi rimane solo Gouadec. Deve gestire 15, 20 atleti, troppi. Anthony Lobello, ex pattinatore nel frattempo diventato mio marito, si offre di dargli una mano”.

“Ti faccio il ghiaccio e le lame, propone. Cose pratiche, non di allenamento. Non avrai mai niente a che fare con il team, si sente rispondere. Ci rimaniamo malissimo: Kenan era al nostro matrimonio. Da lì in poi, le cose peggiorano. È spesso in ritardo, a volte non lucidissimo: non è più lui. Scema la fiducia di tutta la squadra. Alla fine di una lunghissima riflessione, scelgo Anthony come allenatore. Nel maggio 2017 diventa ufficiale. Sul ghiaccio lavoro con Gouadec, fuori con mio marito. Kenan non la prende bene, inizia a fare un ostruzionismo sciocco. Mi metto il paraocchi e tiro dritto verso Pyeongchang 2018: c’è il primo oro individuale da vincere. In Corea, infatti, il lavoro paga”

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«Rientrati in Italia, il Coni ha un’idea: Anthony ct delle ragazze. Sei sprecato a lavorare solo con Arianna, gli dicono. Ma quando lui chiede di impostare a modo suo il quadriennio olimpico, chiede autonomia, espone la sua visione fatta anche di umanità e sensibilità, l’accordo salta e la Federghiaccio ritira la proposta. Eppure siamo atleti, non macchine – ha spiegato poi l’azzurra. “È importante che l’atleta venga ascoltato, non usato come mezzo per arrivare alle medaglie. C’è un tema di cultura sportiva da cambiare: in Italia è un asilo, manca professionalità”.

Poi l’affondo sui colleghi, facendo nomi e cognomi raccontando gli episodi che l’hanno tormentata:

“Tommaso Dotti e Andrea Cassinelli si mettono a fare tracce pericolose davanti a me, cambi di direzione, accelerano e decelerano. Roba pericolosa. Parlottano, è palese a tutti: vogliono farmi cadere. Diventano sempre più aggressivi, io mi tengo a distanza, finisco l’allenamento, me ne vado. Alla riunione tecnica del giorno dopo, ammettono: non ci sta bene che ti alleni con noi. Cassinelli smette, ma Dotti continua con i suoi giochetti per tutta la stagione. Un ambiente tremendo. Ogni giorno mi sveglio con l’angoscia e il mal di stomaco, chiedendomi: oggi cosa succederà? Cosa faremo io e Anthony di sbagliato?” 

E il giorno del contatto tra me e Dotti, naturalmente, arriva: vado dritta contro le balaustre a 50 all’ora, la caviglia si gonfia. A Salt Lake City, in Coppa del Mondo, per precauzione rinuncio alla staffetta. Gios mi manda a dire che o partecipo o faccio le valigie. Sempre lui, a Pechino, ha detto che i ragazzi sono gli sparring partner ideali per crescere, che dovrei ringraziarli. Quindi il contatto in piena velocità con un uomo che pesa venti chili più di me sarebbe utile? Ma di cosa stiamo parlando…? In Giappone Dotti ci riprova: accelera, io imposto la traccia in modo da bloccarlo, a fine allenamento le altre azzurre vengono da me a congratularsi. Un ambiente tossico: nel linguaggio, nei pensieri, negli atteggiamenti da bulli di certi colleghi. Tutti hanno paura di esprimersi, ci sono giovani appena entrati in squadra che vogliono già smettere“. 

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Io a Milano-Cortina 2026 ci vorrei arrivare, chiudere ai Giochi italiani, come ho iniziato, sarebbe una favola ma altri quattro anni così non li faccio”

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