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Roberto Baggio, un poeta del calcio scontroso, triste e sofferente

Un libro di Stefano Piri ("Roberto Baggio Avevo Solo Un Pensiero") racconta le gesta del Divin Codino.

Roberto Baggio, un poeta del calcio scontroso, triste e sofferente
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23 Maggio 2020 - 18.38


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di Marco Buttafuoco

Questo bel libro di Stefano Piri (Roberto Baggio, Avevo Solo Un Pensiero 66THAND2ND, 2020, pagine 205 €16,19, eBook 8,99) si apre con l’uscita del campo del Divin Codino, 5 minuti prima del fischio finale della sua ultima partita con la standing ovation del pubblico e l’abbraccio dei giocatori in campo.

Personalmente ne ho un altro, quello del duecentesimo gol in serie A, realizzato al Tardini, già nel periodo bresciano, a fine carriera.  

Mandò in crisi tre difensori con un solo movimento breve e segnò, con un tiro preciso, lento, da biliardo.   Tutto il pubblico, anche la curva dei tifosi del Parma, esplose in lungo applauso, di almeno due minuti.

A Baggio volevano bene tutti.

Qualcuno maledisse, allora, anche il giorno del ’97 in cui non riuscì ad arrivare al Parma, per una scelta tecnica di Ancelotti.

Ecco, in un episodio, il sunto di un libro; un genio del calcio e un mondo che, intorno a lui, lo amava e lo odiava.

Tutti lo hanno capito, alcuni lo hanno capito tanto da sentirne la totale irriducibilità agli schemi e alle logiche di una squadra; fra i primi tifosi e presidenti, fra i secondi calciatori e tecnici.

Stefano Piri, e questo è il suo merito, dà della vexata quaestio che divise l’Italia del pallone per tutti gli anni ’90 una lettura storica molto equilibrata.

Roberto Baggio è uno degli ultimi grandi del ’900 calcistico e uno dei primi del nuovo secolo, la sua vicenda si situa nel pieno della rivoluzione calcistica sacchiana e Baggio non è comunque solo una vittima sacrificata sull’altare di un calcio fatto di schemi e forza fisica. 

Baggio fu anche uno dei professionisti dello sport più pagati, e una delle star della celebrity culture, quel fenomeno che permette ai media una vera e propria invasione nella vita, anche privata, di una star..

A quest’ultima dimensione lui cercò di opporsi, proponendo la sua immagine di uomo leale a vecchi valori e fuori dal sistema.

Affidò, tuttavia, la sua immagine a grandi professionisti londinesi del settore.

“Resta tuttavia la sensazione – scrive Piri- che Baggio non riesca a capire completamente quello che gli sta capitando, e proprio per questo la prenda più sul personale del necessario. Quella dei media gli sembra una persecuzione mirata nei suoi confronti, e invece è la normalità di una nuova epoca”.

Il libro è pieno di altre notazioni interessanti: il ritardo culturale del calcio nei confronti dei cambiamenti della società (ad esempio lo “scandalo” della conversione dello stesso Baggio al buddhismo) lo strano moralismo di tifosi e media sulla necessità che in questo mondo corra tanto denaro, gli strani riti di possesso che le tifoserie esercitano sui loro idoli, ovvero la ritrosia ad ammettere che un calciatore, nella sua breve carriera ha diritto a cercare platee (e retribuzioni) più prestigiose.   

Un libro interessante dalla prima all’ultima pagina cui si possono muovere solo due rimproveri.

Il primo è che probabilmente, a differenza di quanto sostiene l’autore, il fenomeno degli sportivi come star dei media inizia già prima della seconda guerra mondiale.

Babe Ruth e Lou Gherig, furono eroi nell’immaginario collettivo già negli anni venti e trenta.

Il secondo è un vero e proprio errore, inspiegabile in un libro tanto curato: fu Nevio Scala a portare il Parma in Serie A nel 1990, non Arrigo Sacchi.
Al di là di questi appunti, il ritratto di Roberto Baggio che emerge da queste pagine è memorabile; un poeta del calcio scontroso e anche triste, sofferente per i suoi continui, gravi, problemi fisici.

Quasi un Syd Barrett del calcio, “preso nel fuoco incrociato d’infanzia e celebrità… straniero, leggenda, martire, … pifferaio, prigioniero, vincitore e perdente” per fortuna con un lieto fine, del tutto meritato, ben diverso da quello del “diamante pazzo” dei Pink Floyd.

 

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