di Alfonso Esposito
Se un merito va riconosciuto a ‘Ringhio’ Gattuso è quello di averci messo il faccione, burbero e barbuto.
Fin da quando ha avvicendato Ancelotti sulla panchina del Napoli ed ha messo mano alla ricostruzione dello spogliatoio azzurro, ingovernabile ed anche spaccato in seguito alla sommossa di Castelvolturno, consumatasi dopo il ritorno di Champions col Salisburgo ed in reazione al ritiro imposto in precedenza dal patron De Laurentiis.
Per mettere subito le cose in chiaro, il neo tecnico aveva subito dichiarato di voler tornare al 4-3-3, da tempo rimpianto dalle ‘vedovelle sarriane’, da sempre fieramente avverse ad Ancelotti, messo sul banco degli imputati col capo d’accusa di aver oltraggiosamente dissipato la grande (ma improduttiva quanto a vittorie finali) bellezza dell’indimenticato ‘comandante’.
Quella che sembrava a tutti un restaurazione, però, col tempo si è rivelata essere solo un’illusione. Tra alti e bassi da montagne russe, il nuovo Napoli non ha mai riproposto le trame e lo spettacolo che erano il marchio di fabbrica di Sarri: cinque sconfitte in gare inguardabili, cinque vittorie anche contro la detestata Juve al San Paolo ma, soprattutto, una lenta ma palese metamorfosi tattica.
Se un altro punto a suo favore può vantare ‘Ringhio’ è di aver preteso l’ingaggio di Demme per piazzarlo da metronomo davanti alla difesa. Per carità, non un play tradizionale, alla Pirlo o alla Xavi per capirsi, ma uno come Jorginho, che desse impulso e ritmo costanti alla manovra.
Fatto questo, Gattuso ha capito che della grande bellezza non gli poteva interessare di meno se aveva una squadra che perdeva in casa col Lecce ed era subissata dai fischi. Quindi, ripartendo da Demme ed anche rinunciando a pezzi da 90 impresentabili quanto a tenuta psicofisica (Allan e Koulibaly su tutti), ha rimodellato tatticamente l’undici-base, badando, in primis, a non prenderle.
Emblematica l’andata di Coppa Italia con l’Inter al ‘Meazza’, col Napoli impostato secondo un pragmatico 4-5-1, con Elmas chiave strategica a galleggiare tra le linee nerazzurre ed a mandare in tilt Moses e Skriniar.
Stesso copione in Sardegna contro il Cagliari, poi una nuova trasformazione a Brescia, dove Insigne si riappropria della fascia sinistra ma senza emarginare Elmas in panchina, perché quest’ultimo, da mezzala sinistra, raddoppia con Mario Rui sul versante mancino e fa accentrare Lorenzinho in zona tiro.
A tratti, specie nella ripresa, il Napoli si schiera con un 4-1-4-1 che ha sempre in Demme il perno centrale, con Politano ed Elmas guastatori esterni ed Insigne supporto per Mertens. Insomma, non solo non si è compiuta la tanto agognata restaurazione sarriana ma, anzi, ha preso forma una fisionomia del tutto diversa, quasi da ‘brutti, sporchi e cattivi’, distante anni luce dal gioco ideale vagheggiato da Maurizio il tosco-napoletano.
La grande bellezza si è mutata in oscura concretezza. E in questo modo, viaggiando a corrente alternata, deludendo le ‘vedovelle sarriane’ e smentendo anche i fatalisti ancelottiani, nostalgici del blasone di Carletto, ‘Ringhio’ è tornato in corsa per l’Europa League. Almeno per ora, il campo gli sta dando ragione.